NINFEA
Addentarti a morsi,
mimosa,
per trangugiare
l’acqua
dal tuo stelo.
Come onda leggera
Mi strappo
E poi c’è
L’acqua,
l’acqua …
ninfea.
È TEMPO DI ROTTURA
Perché mi guardi con quegli occhi delusi?
È tempo di rottura, ormai
Ho rotto col passato e col mio sangue giovane,
avido di luce.
M’è rimasta la sete
Una sete di ponti azzurri sugli asfalti vividi del
Cielo. Non guardarmi. Non parlare. Lo so, lo so che mi sono
Ammalata di silenzio e che ho un bisogno atroce di
Parole, di parole non esangui, non bisbigliate
All’orecchio come sussurri, ma urlate forte a rompere il vetro
Di questa mia sopportazione. Ma è tempo di rottura
Ed è meglio tu taccia. Taci, per pietà della mia
Stanchezza, tremerei e sono stanca, sono stanca come
Un gioiello troppe volte elogiato e mai una sola volta
Portato indosso, stanca come una pietra, come un bimbo
Assonnato … . Stanca come un cane bastonato.
Ma tu perché mi guardi, con quegli occhi delusi?
L’ESTATE DEL MIO SGOMENTO
L’estate del mio sgomento e la noia e l’insincerità
Giocano, sorelle, sulla sabbia senza suoni.
I giorni caldi ho pianto nel tuo grembo buio, giaciglio
Esasperato dagli odori del mare.
Il mio occhio di luce, teso a spiare nel remoto mistero
D’un fogliame senza fondo la luminosità rarefatta
D’un’altra epoca.
L’estate del mio sgomento
E la pelle arsa che odora di logora castità,
ma c’è il tuo corpo sugli scogli.
PRENDI LA LUNA
… prendi la luna! Ti canterà sulle mani.
È notte. Si alza dal secchio e gocciolando
Rotola sotto la porta.
… Sssshhhh … non alzarti …
LA NOSTRA STANZA NATURALE
La nostra stanza naturale
È là sul mare,
Emerge tra le rocce
Emergono le rocce
Dall’opalescenza uterina del mare
Ed è natura che s’intende,
maschile e femminile,
combacia e ride al sole
come l’onnipotente.
CHIARO DI LUNA
Con le sue dita leggere, il vento ti muove
Nelle tre prime note del “chiaro di luna”, abete.
In alto, una stella riscava un suo vertice verde,
Oscillando lucente … .
(1989)
(TRITTICO)
La felicità con denti di madreperla ha lacerato
Le strade della fantasia, sottraendo
Farfalle brune a una smania lunga di primavera.
Il canto ha percorso le pareti della città
franando sull’autostrada
e ha incendiato le falene d’oro che danzavano
nella notte
tessendo vuoti.
Era sorta la luna e le donne sedute
Su terrazze circolari sognavano
Antichi telai di antenate
E bianche dita vi incastonavano sogni di future
Generazioni.
Erano pallide le donne
Come per rimorso o nostalgia
Le teste ciondolavano da oscure balaustre di anni
E in alto la luna
Era bianca.
Le ho viste arrotolarsi al fondo dell’edificio
Scolastico, dell’ufficio della posta, dei negozi …
Le facce indurite del mondo del lavoro sforzo
Mi son sentita entrare in un secco pulviscolo
Che frantumava cervelli
Spegneva gli occhi
Uguale e simile a un grezzo grigio e nervoso mantello.
(1985)
IL MIO GATTO
Quanto mi morde e mi mordicchia questo
Vento inquieto d’inverno.
La dea bitorzoluta d’aghi freddi s’enfia e s’affanna in mezzo
A un sole che non mi riscalda.
Ma all’interno, se chiudo la porta
S’abbrivida per tratti un calore ch’è tiepido
Così rientro e carezzo la testa del mio gatto
Che par quasi viola per i suoi occhi glabri …
I suoi peli son soffici quanto l’erba d’un mitissimo
Giorno d’inverno.
(Maria Di Lauro 1995)
(POESIA COME FORMA ESPRESSIVA)*
*Scritto a penna, in testa ai versi che seguono
Hai rallegrato le sue viscere di madre
Ed ora la sua tenerezza è reale,
la mia si fermò in un porto
oscuro, fui assorbita
dalla città di pietre e sale e dolore,
non ti prendesti il mantello interamente offerto
ed esso fu corroso dal tempo,
non ti prendesti il mio corpo ed esso rimase,
vuota spoglia,
uscire incontro alla lebbra
fu impresa di S. Chiara,
io mi son rinchiusa a pensare
e penso non a voi, santi dell’eroismo
ma al poeta lunare
che mi baciò la fronte,
quel bacio mi confermò
la tenerezza,
quel bacio mi ridiede la voglia di sognare …
il pellegrino.
Venne e mi voltò le spalle,
non so dirgli che l’avevo già incontrato,
non mi ricordo,
è passato e ha lasciato i segni del dolore.
Dal suo cielo,
il poeta non può muoversi
per dirmi
che gettò una manna troppo breve e pericolosa,
avanzo in gallerie più oscure,
il sole non compare,
non conosco più la strada,
non ho voglia di sorridere
ho voglia soltanto di abbracciarmi
e ballare,
non vale la pena di gettarsi in braccia estranee
Adesso che non ho più fratelli veri.
NON SFORZARTI, CREATURA
Non sforzarti, creatura
A visitare inferni d’infermi
A vedere l’orrore che il “peso” porta,
ci sono a questo mondo varchi di vuoto
e il desiderio vero non ha quasi piedi,
corre verso l’idea a mezzanotte,
in tempi difficili di “grazia” e può
accadere che due muovano insieme i piedi,
È dura la fatica e il mondo resta
Non voglio usare parole.
Raccontarmi: mi convertii in quel mattino
E poi fu la sera.
Eccomi sola.
Cosa c’è da dimostrare.
ALLA MADRE CELESTE
Ah, la trasudata violenza degli … errori, e tu, Vergine che
Dall’altare sembri schiva e bianca, forse tu non
Ascolti la struggente tenerezza di noi, tuoi figli, e
Il tenero ricatto della preghiere. Forse dalle vetrate
Fredde e schive che fanno il volto, esangue e rarefatto,
rabbrividisci alla viscida violenza di candele che mani
fanatiche ti posero, ignare del Figlio e del calvario … .
Io voglio porti, Madre, nell’azzurro fra le dita
Fresche e ventose dell’universo, madre amorevole,
nostalgica dell’amore nostro … .
E voi, scultori maledetti, scrollate via la creta da
Quel volto e lasciate che la sua luce esca liberamente
E si diffonda nel mondo, così che ogni angolo
Non diventi che luce, e non sia che … Logos!
(scritta da giovane)
LUCIFERO
Ti ricordi il pavimento di terracotta
Col cielo freddo dell’alba che aprivi, aprendo la porta?
L’aria verdina, attorcigliata alla camera
Cadeva sullo specchio
E cadevi su di me
Col dorso di cavallo bianco
Sferzato da un uccell
Nato
Dal ventre di Bacco:
stretti gli occhi
come quelli di un Unno intelligente,
mi mostravi
il deserto, la sete, Bianca era la mia anima
violentata dagli eventi.
Ti mostravo il mio canto di colombo
Ucciso sulla soglia d’un vero giorno.
Ma Tu, verità, sei ombra.
Io sono orgoglio.
BESTEMMIA
e lo puoi tenere il tuo cielo,
te lo puoi tenere,
non è un posto
che mi darebbe gioia,
il cielo mio
l’ho inventato io,
ed è diventato il mio sudario.
Se ci sono altri cieli
Non è affar mio,
io volevo quello
fatto a mia immagine e somiglianza.
M.D.L.
(scritto con rabbia)
Tutto ciò che è nostro dovere fare
È mandare avanti la razza,
far piangere i poeti
e divorare le vittime …
QUANDO LA LUNA NON MI ILLUMINÒ
(anatema)
Quando la luna non mi illuminò
Quando la luna spaventata si spaventò
Quando,
di nuovo scivolò lontano,
io mi affidai a cattive mani,
ora è altro fiume e ho visto ancora
un misero pesco
non cantar nessuno
: primavera, mi attendi in questi giorni?
Primavera, ho già perduto la neve,
dove t’agghindi?
Or son tre anni che
Nostra stoltezza mi raddenta
Eppure eppure,
lasciami un po’ stare, se non mi comprendi,
uomo chiuso,
t’abbia tu sciagura.
E IL TEMPO PASSA …
Era squillante il campanile
Notturno
Nell’aria stellare, spesso di nebbia,
sciabordato di vento
lungo la strada
era il cancello
Come possono il vino e l’arpe e l’amore
Riempire di suoni
Ciò che, senza, diventa
Piatto e stento
Sto crepando da secoli
In questo luogo dove non accade
Più niente
E il tempo passa con piedi di stagno
Lento, immobile, fermo
Come un cancello basso …
Che stritola e strazia.
“UCCISO CAINO”
Ho imboccato un sentiero lontano
Tutti me li mostrasti, i demoni
Fanciulli rozzi, di materialità cosparsi
Senza intelletto vero
Ma col sesso
Frontale
… mentre leggevo al sole scolorito
Di una terra morta alla luce mentale
E l’urlo di bestia maschia rompeva finestre
Mentre scenografie tribali
E santi pacchiani
Conducevate attorno con róse mani
E non pensavo più: dov’è ora il giorno dello spirito,
il lume e l’acqua chiara:
io vedevo le colpe ammonticchiate
e lo strepito di gracchianti cicale,
d’inganni della mente
e ne ebbi a male
tanto che morte pur mi divenne brutta
e, tu dio dei miei grandi cieli chiari
“forse ella fu solo morte morale”
II
“Eva percossa in te, in te o mia donna
A caino sposata prese corpo, che immonda storia
Or te la ritorco?”
Perché? Sarebbe allungarmi la mia strada …
Non voglio perder tempo nella valle,
pellegrino, caino del tuo sacco …
… getta gli sterpi ed i serpenti oscuri,
muoviti, su fa presto, mia creatura
“son solo peccatori a tua misura”
Perdona in fretta e fallo tu, mio amore
Ho visto troppo e venne la paura,
troppo ho veduto
e non c’era nessuno,
solo qualcuno che lotte mie vedendo,
bravo mi disse
e a spirito parlava,
io “del sacco caino ho già sperduto”,
cammina al tuo sentiero, amica e fata
e prega Lui di ricordarti
in tempo di non prender mai più
forzieri pesanti,
ho venduto caino, l’hai veduto?
La sua storia selvaggia all’ideazione
Disse: tu Musa vincerai la tentazione!
Avviene, accade … qui non c’è nessuno
Ma nel cuore mi accarezzo la tua piuma,
su via, inconsciamente ti chiamai amore
e dopo il grande giro intorno al corvo
ecco, ti spiego, scendi, ti prego
dal capitello
in modo che Ella sieda! (*)
*(Ella: l’amata) 22.XI.81
LE LOCUSTE GIGANTI
Un giorno chiamai un angelo dalla mia sponda
Mi parve che avesse compreso,
mi parve che avvenne l’incontro,
quando tornai a valle lo confusi coi loro sistemi di progresso
troppo veloci per ampliare tutti gli stretti cervelli:
a valle
si sferragliava ancora come locuste giganti
si lanciavano lamenti,
grida odio
soprattutto distacchi,
pareti impenetrabili che succhiavano le vene dell’amore,
lo rendevano brutto cieco
come un mendico insano sotto i ponti
e triste come la bambina
che va sola, con la sua fame ritratta
e la sua nenia brutta di parole.
Quanto è distante un angelo?
Quante colpe si devono recidere con pugnali di acciaio forte
Perché egli una notte ritorni
Col suo silenzio intatto
A benedire un essere?
Da quel silenzio si apre la parete che frenava
Il vero sentimento,
quello fermo intatto come un ghiacciaio eterno
e rosso come la rosa nel suo autentico splendore,
il corpo delle spine della rosa
si sfalda
e allora conosci che sei amore
non sfiorato dal minimo pensiero,
nel punto dove la lotta si centra
e si trascende
comincia la via dello spirito.
’88
OH GABBIANO, DAMMI ACQUA!
Che dirò oggi che ad una ad una le spegni le mie lampade?
Dirò che avemmo torto,
e anche dirò che tu, poesia, rassomigli stranamente a un Sogno
che non accade mai, …ed è come se non ci fosse/
perché questa è la terra dello scudiscio
e … della piaga
: Tutti … non tutti direbbero così?
Ci sono altri a dire
Che vivere sia bello …
Ma siccome i colori io li volevo forti
E non arresi alla piaga
Dell’illusione che pencola
Colle sue ali bianche … .
(Eppure…eppure!)
Oh Gabbiano, dammi acqua!
Oh gabbiano, non ritenere tutto illusione e male
Dammi tu l’acqua …!
(agosto 1985)
CAPRI
Entro di te mi induneo, capace vorticosa chiara-azzurra
Silicea, Archi felici tendono in capillarea forma
Primavera t’adorna,
Costeggi il molo sebacea statua
T’incoroni / su rupi bianche,
Sprizzi in gradinate lucenti
Di luci serali e di cubetti bianchi.
T’involi in aeree forme celesti
Sei aria lucente che si mesce.
Corri per strade strette,
botole bianche,
ciuffi di sale e scale
e di conchiglie e solo/
solo / ti manca / dell’umano, la /
Isola. Isola.
Serena
Cosa.
(1 maggio ’86)
AI PASSANTI IMPORTUNI
Mi si incassano addosso come sanguisughe,
narrano la loro anima non richiesta,
toccano
con dita d’artigli,
come selvaggi della tribù
s’inginocchiano alla dea contro,
fanno riti,
seminando un’umiliazione
che gioca col pancreas,
e si dimentica
la pura, la svettante, la ferma guerriera
e l’uomo coi suoi occhi puri
che guarda (fermo) il cielo.
(1)
Stanze di vergogna
Di gogna dove il pudore non ride
In cui non entrano le stelle
Per antica promessa stabilita
Dipinte su un cristo della carne, deriso,
perdute
selvagge,
andate,
finite
nella geenna
della tecnopoli.
Nuovo inferno che distrugge,
per velocità,
lo scorrere del tempo.
IL CIGNO
Piume volatili di cigno
Bianche
Ti emergevano dagli occhi,
dallo spirito, fluttuavano
beatitudine dovunque cercata
veduta in sogno
estasi mai consumata
piano diverso
dalla strettura
di questo piano
che stanca.
(15 gennaio 1982)
A MAJAKOVSKIJ
Majakovskij te ne andasti! Perché te ne andasti?
Lo so, era difficile la nostra lotta.
Era difficile, Majakovskij
Ti comprendo,
e te ne andasti
lasciandoci addosso i nostri colori.
Sembra buia, la notte.
Forse potevi reggere di più,
ma che importa: noi siamo qui,
guerrieri della nostra Terra.
Noi siamo noi,
quelli della bellezza
e troveremo la nostra Stanza.
Il nostro amore ti regge,
gabbiano
che hai spaccato il tuo cervello
contro la roccia del mondo.
Gabbiano.
Nostro!
(aprile ’79)
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(1) Nello scritto originale non risulta chiaro se i versi seguenti sono la continuazione della poesia che li precede